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Giambattista Vico: Opere
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VII: Scritti Vari e Pagine Sparse
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Footnotes

Footnotes

1 In una precedente stesura manoscritta (sulla quale cfr., in fine del presente volume, la Nota bibliografica) il testo continuava cosí: «Haec quae, vera non simulata cognitione rerum, mentes exornant: horum ope iudices summa aequitate, non iactabunda memoria imbuti, sententias dicunt; medici non crudelissimo cruciatu, sed miti ac iucundo pharmacorum genere morbis medentur: iis denique maxima haec beneficia accepto sunt referenda, quod ab agendi licentia animos, ab errore cogitandi mentes, a quampluribus incommodis corpora vindicarunt. Sed quid nos qui non illa potius inter tua maxima beneficia referamus, cum, te auspice, omnia haec summa atque immortalia nostrae civitatis ornamenta nostrae civitati sint conservata?». Senonché, come avverte in margine lo stesso Vico, il Santostefano, al quale, prima di procedere alla stampa dell’Oratio, venne mostrata l’anzidetta stesura manoscritta, «segnò col lapis» le righe ora trascritte, mostrando, con ciò, desiderio che venissero emendate: ragion per cui a questo passo l’autore sostituí l’altro: «Verum quae ex hisce studiis... te patrono, sint conservata?», che si legge nella definitiva stesura a stampa (Ed.).

2 Veramente, il testo ha «fanno lieta crescere e felicemente germogliare a’ viventi la gloria», dopo le quali parole, senza punto interporre il passo terenziano, il Vico passa al capoverso successivo. Senonché al principio della raccolta contenente questo scritto in morte della Cimmino il Vico aggiunse la seguente nota: «L’autore dell’orazione emenda il detto, e, cancellando la voce ‘gloria’, siegue a ragionar della ‘lode’, dintorno alla quale chiude il periodo cosí: ‘fanla a’ viventi lieta e felicemente crescere e germogliare. E certamente il Comico’», ecc. ecc. Inoltre, per ispiegare l’emendamento di gloria in «lode», la medesima nota aggiunge: «Perché la gloria, la quale proviene unicamente da ciò che rari uomini o con saggi consigli o con valorosi fatti o con nuovi utilissimi ritrovati d’ingegno giovino a’ popoli ed alle nazioni e molto piú a tutto il genere umano, non può, per la nostra corrotta natura, andar libera dall’invidia né qualunque mansuetudine può punto giovar loro di schifarla, siccome l’incomparabile modestia di Socrate, con tutta la di lui studiata ironia, con la quale professò sempre di non sapere e di voler essere addottrinato dagl’ignoranti, poté punto operare che gl’invidiosi della di lui gloria rifinassero di attraversarlo, finché nol videro ingiustamente condennato a prendersi la cicuta» [Ed.].

3 Precedente stesura, poi rifatta nel testo a stampa: «Quod | Ca‐ rolus rex optimus | has scholas publicas | in castrorum usum deforma‐ tas | sapientiae studiis nitidius recoli | iusserit | tibi | Amalia regina | uxor tali viro dignissima | supra omnium civium commune | certo quo‐ que officio | felicissimum adventum | academia gratulatur» (Ed.).

4 Precedente stesura: «Augustis auspiciis concitantibus | ingredere urbem | Maria Amalia Valburga | flos lectissime reginarum | et nova nupta», ecc. (Ed.).

5 In bianco nel ms. (Ed.).

6 Un precedente abbozzo: «Hoc sacellum | atque heic ibidem se‐ pulchrum | Fulvius Tisbia patricius melphitanus i. c. | sibi suisque po‐ steris fundavit | et ipsius familia exhausta | ad Theresiam de Ancona | lege redierunt | cuius ff. | Iosephus et Paschalis Marciani | indigenae neapolitani antiquissimi | excoluerunt et exornarunt» (Ed.).

7 De’ chiari pregi di questa famiglia laudevole menzione fa Giovanni Boccaccio nella Vita della Catanese. Acquistaron splendore allo stesso casato li duchi d’Atene (registro del re Carlo ii dello anno 1291 lettera A, foglio 409), le contesse di Lecce (registro del re Carlo ii dello anno 1299, lettera A, foglio 211), li prencipi dell’Acaia e conti della Cefalonia (registro del re Roberto dello anno 1332 e 1333, foglio 69), li quali tutti furono alti rampolli di questo nobilissimo ceppo (V.).

8 Il padre Leandro Alberti nella sua Descizione d’Italia, e propriamente de’ luoghi mediterranei della Lucania, le parole del quale sono le seguenti: «Seguitando la valle di Diano, da Sant’Arsenio un miglio discosto, alle radici del colle giace San Pietro, castello del signor Biagio Marzecano». E poco dopo: «E piú oltra quattro, appare, sopra il colle dell’Appennino, Diano, castello molto ricco e nobile, rammentato da Tolomeo, dal quale ha pigliato il nome tutta questa valle. Egli è, detto castello, signoreggiato da Giovan Giacomo Mazzacane, governatore de’ soldati del principe di Salerno, che conduce per Carlo v imperatore. Piú avanti due miglia, vedesi San Giacomo di Loretto Marzecano» (V.).

9 Quattro altri feudi nobili ebbe in dote Lionetto Mazzacane da Porzia figliuola di Giovanni Capano, cavaliere del seggio di Nido; e, avendo in essi la sola giurisdizione civile, ottenne dall’imperatore Carlo v anco la criminale, come dall’investitura di essi apertamente si vede (V.).

10 Giovanni Antonio Summonte, Del quarto tomo dell’istorie di Napoli (V.).

11 Dell’albero della famiglia di Balzo del signor duca della Guardia (V.).

12 Dell’albero della famiglia d’Aquino di Scipione Ammirato (V.).

13 Il principe Sanbiase, nella Nobiltá di Cosenza, parlando della famiglia Rocca (V.).

14 Nel registro di Carlo ii di Angiò segnato 1278, lettera C, foglio 63 (V.).

15 Nel registro del medesimo re segnato 1294, lettera I, foglio 22 (V.).

16 Nel registro del medesimo re segnato 1290, lettera A, foglio 12 (V.).

17 Questa famiglia fu detta «De Comps» nel Delfinato: Pietro Boissat, appresso il Bossio nell’Istoria della religione di Malta (V.).

18 Arnaldo e Bertrando: l’istesso Bossio, in detta Istoria, libro vii, pag. 252, lett. B, e libro xiv, pag. 630, lett. B.